educazione bambini

Come farsi ubbidire senza usare metodi coercitivi?

“Mio figlio è molto impegnativo!”

“Quando fa i capricci vado in tilt e non so più che fare!”

“Non mi ascolta mai!”

“Mio figlio è tremendo: fa quello che gli dico solo quando urlo!”

Queste parole esprimono lo sconforto, la fatica o il sentimento di impotenza che accompagna l’educare i figli. Queste frasi però raccontano anche di quanto le etichette che usiamo, le visioni esagerate che creano in noi emozioni di rabbia, colpa, tristezza, bloccano le nostre risorse, le nostre capacità di riflettere e quindi agire in modo efficace.

Ogni situazione è di per sé neutra, siamo noi ad attribuirne un significato positivo o negativo, in base a come la “pensiamo” e interpretiamo.

Imparare ad esercitare l’autocontrollo con attribuzioni efficaci, a restare consapevoli della funzione del nostro ruolo, utilizzando in modo proficuo i nostri vissuti emotivi, grazie all’uso di tecniche assertive di rinforzo in merito al comportamento del nostro bambino, ci aiuta a relativizzare, riconoscendo che NON E’ SBAGLIATO O CATTIVO IL NOSTRO BAMBINO O NOI COME GENITORI, ma è il suo o il nostro atteggiamento e/o comportamento, in quella situazione.

Permettendoci di andare oltre le nostre paure, aspettative, dubbi e insicurezze personali, riusciremo ad accedere alle risorse sempre presenti in tutti noi, di cui spesso non siamo consapevoli per primi, proprio perché appannate da tali carichi emotivi.

Proviamo quindi a:

1. Prenderci una pausa quando siamo stanchi e sovraccarichi;

2. Svolgere attività piacevoli per ricaricarci;

3. Imparare a parlare a noi stessi, esercitando l’autocontrollo (è un “muscolo” che si può allenare!);

4. Usare pensieri più efficaci, non generanti rabbia, ansia o impotenza;

5. Imparare a usare “messaggi IO” e non “messaggi tu” (cioè partendo da me e non da te-figlio);

6. Usare le nostre emozioni per metterci in contatto con nostro figlio;

7. Provare a metterci nei panni di nostro figlio e cercare di capire se vede le cose in modo diverso da noi (potremmo renderci conto che esiste un punto di vista diverso e che possiamo capire);

8. Usare la sgridata-castigo solo se serve (ma che sia breve e comprensibile), ricordandoci comunque di rinforzare la sua autostima e confermare il nostro amore (perché per i bambini non e’ così scontato dopo una litigata);

9. Sostenerci, facendo in modo di essere una reciproca risorsa per il nostro partner, pur esprimendo le nostre differenze.

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psicologa consulenze sonno bambini

Non voglio dormire!!! Se mi addormento tu non ci sei più

Consulenze al sonno perso dei bambini e dei loro genitori…

“Adoro il mio bambino, ma ormai di notte non si dorme più…”

“Appena lo metto nel suo lettino urla e piange”

“A volte penso di non essere un buon genitore, come gli altri…”

Queste sono alcune frasi che esprimono lo sconforto, la stanchezza e il senso di impotenza, riportati da alcuni genitori nel dover gestire un momento molto importante dall’arrivo del loro bambino: quello del sonno.

L’arrivo di un figlio porta solitamente una grande gioia, ma richiede anche l’investimento di tante energie, quindi tanta fatica e possibili turbamenti emotivi.

E’ normale per molti bambini che il loro sonno sia caratterizzato da numerosi risvegli nel corso della notte nei primi anni di vita (per malesseri fisici, situazioni emotive temporanee, cambiamenti, ecc.). Per cui è normale che i bambini ogni tanto si risveglino, ma se ciò succede con questa frequenza il genitore che solitamente dorme quasi tutte le notti è in grado di sostenere le interruzioni del sonno con serenità. Quando invece i risvegli si presentano tutte le notti e per numerose volte, la situazione può divenire critica.

Quindi può capitare di incontrare genitori talmente disperati, nervosi e affaticati per le ore di sonno perse a causa del loro bambino, che vanno alla ricerca di rimedi quasi miracolosi, altri genitori che non ne parlano perché ammettere le proprie difficoltà credono significhi non essere un buon genitore o ancora altri genitori invece disposti quasi a immolarsi per la causa, rassegnati a dormire quando il piccolo sarà maturo.

Numerose ricerche dimostrano che la carenza prolungata di sonno ha effetti negativi sia sull’adulto (nervosismo, mancanza di energie per fare, difficoltà nel relazionarsi, poca pazienza, poca capacità di concentrazione, riduzione delle capacità di memoria, deficit di attenzione, ecc..) sia sul sistema nervoso di un piccolo che sta crescendo, che sul suo comportamento e sullo sviluppo delle sue capacità di regolazione emotiva. Tutto questo può creare un circolo vizioso negativo per la vostra relazione genitore- figlio.

Frequentemente le difficoltà del sonno del bambino sono attribuibili a falsi miti, metodi, consigli e comportamenti non adeguati nel rispondere ai bisogni, alle caratteristiche e ai tempi di quel bambino.

Spesso sono sufficienti piccoli accorgimenti comportamentali e tecniche mirate per restituire un sonno più riposante e ristoratore per tutti, salvo nel caso in cui invece il “disturbo” del sonno sia la spia di un altro disagio (ma questo si valuterà insieme).

Faccio parte dello staff di sonnobambino.it.

Il nostro scopo è aiutare i genitori a trovare le giuste strategie per tornare a dormire sonni sereni e tranquilli insieme ai loro piccoli!

Buoni sogni!

Dott.ssa Giovanna Loconte

 

 

 

 

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depressione post parto

Soffro di depressione post parto…

SONO MAMMA DA POCO: PERCHÉ NON SONO FELICE COME DOVREI?

“Diventare genitore è un’esperienza che ti completa, che ti arricchisce, mi dicevano… allora se non provo questi sentimenti significa che sono un cattivo genitore?” E’ quello che mi chiede Lisa, con la voce incrinata dall’emozione e mamma di Leonardo di 3 mesi.

“Ogni volta che mia figlia piange senza sosta, crollo, inizio a piangere anche io e non so più che fare!” Queste sono le parole di Marina, mamma di Lucia di 3 settimane.

Questi pensieri insieme ad altri segnali, potrebbero essere la spia di un malessere che colpisce frequentemente le neomamme: la depressione post parto, che si presenta spesso nella sue forme lievi e transitorie.

Baby blues, depressione post parto, e psicosi post parto sono sfumature all’interno di uno stesso gradiente di malessere che può manifestarsi nel momento in cui si assume il nuovo ruolo di genitore: espressione di un disagio emotivo, che ha però diverse modalità di esternarsi, per gravità e tempi. Alcuni dati parlano di un’incidenza del 15% per la depressione post parto, arrivando fino al 50-60% per la baby blues.

La Baby blues è una condizione di “malinconia” abbastanza comune e transitoria attribuita alle stanchezza della gravidanza e al carico psicologico e concreto che deriva dal prendersi cura di un neonato, almeno inizialmente.

La psicosi post parto è una condizione grave e rara nella quale si manifesta una grave situazione di sofferenza mentale che conduce a una marcata alterazione della personalità, comprese allucinazioni e compromissione della vita di relazione.

Una condizione intermedia è la depressione post parto nel corso della quale per almeno una settimana sono presenti grande stanchezza, malinconia, crisi di pianto, ansia, sbalzi d’umore, senso di impotenza, di indegnità, confusione, mal di testa e disturbi dell’alimentazione e del sonno, perdita del desiderio sessuale.

L’umore oltre a essere caratterizzato dall’angoscia e tristezza, si accompagna a sensi di colpa infondati e a volte a fantasie di morte.

Molti sono i fattori che contribuiscono all’insorgenza di tali quadri depressivi, non solo di tipo psicologico. Nei giorni seguenti al parto l’organismo subisce una sorta di sconvolgimento caratterizzato da una brusca diminuzione degli ormoni (progesterone, estrogeni, cortisolo, prolattina e tiroidei) molto aumentati nel corso della gravidanza, tali variazioni fisiologiche nella maggior parte delle neomamme, possono essere invece troppo rapide per alcune di esse, producendo forti sbalzi d’umore (come può accadere nella sindrome premestruale).

Situazioni sociali sfavorevoli, economiche, lavorative, o nei rapporti interfamiliari, possono avere un peso nell’insorgenza dei quadri depressivi.

Un fattore determinante nel favorire la depressione post parto è la qualità del rapporto con il proprio partner, la sua assenza o poca disponibilità all’empatia e al sostegno nell’affrontare la gravidanza e il periodo successivo al parto, sono elementi di rischio per la neomamma.

Voglio guarire, dunque posso!

Si possono fare molte cose per stare di nuovo bene, infatti dalla depressione post parto si può guarire!

Adesso che so cosa mi fa soffrire posso agire per ritrovare il mio benessere, così posso finalmente anch’io vivere l’esperienza della maternità con serenità e gioia:

  • ridefinendo le priorità e le aspettative,
  • rispondendo alla mia stanchezza,
  • accogliendo e comprendendo le mie emozioni,
  • ripensando al mio nuovo ruolo di madre e al mio bambino.

Inizia a prenderti cura del tuo malessere leggendo l’articolo: “ Guarisco dalla depressione post parto: cosa faccio per stare meglio con me stessa! “

Guarisco dalla depressione post parto: cosa faccio per stare meglio con me stessa

Finalmente ho dato un nome al mio disagio interiore (vedi articolo : “Sono mamma da poco: perché non sono felice come dovrei?”) : è la depressione posta parto che mi rende molto stanca, che mi fa scoppiare in pianti imprevedibili, che mi crea ansia e inquietudine, non mi fa sentire capace, disturba il mio sonno e mi rende priva di desideri…

Come per altre situazioni di disagio è importante trovare un equilibrio tra l’affrontare da sole la situazione e accettare un aiuto esterno.

Quando si è depresse ogni tipo di intervento viene percepito come inutile, ma in realtà ogni tipo di intervento è già molto importante.

Occuparsi di noi stesse è una responsabilità da adulte che ri –assumiamo anche nel momento in cui diamo alla luce un figlio: tale consapevolezza non deve però essere vissuta con sentimenti di colpa, (classici vissuti legati alla depressione), ma deve essere invece uno sprone al prenderci cura di noi.

Prendersi cura di noi è appunto un atteggiamento da adulti responsabili, non da egoisti, che apporta benessere alla nostra famiglia oltre che a noi!

Occuparsi di noi stesse è quindi un atteggiamento da assumere: probabilmente dovremo costringerci ad agire, facendo in modo che se siamo troppo depresse per occuparci di noi, dovremo ad un certo punto agire decidendo di farlo. Significa che dovremo imporci di dormire anziché lavare i piatti, o telefonare ad una amica quando siamo molto giù… Questo è l’atteggiamento dell’agire: provare ad aiutare noi stesse per uscire dalla depressione che ci fa odiare noi stesse.

Le 11 Azioni:

1 – Faccio l’elenco delle priorità

Quando arriva un figlio e si è depresse tutto sembra un’incombenza necessaria: occuparsi del neonato, le faccende di casa, cucinare, i soldi, la coppia… e non riusciamo a considerarle separatamente, producendo angoscia, frustrazione e fatica. Ridefiniamo la lista delle priorità con noi e il bambino al primo posto, poi mettiamo gli altri figli, il marito e in ultimo la casa. Il neonato richiede il massimo delle attenzioni ma ci sono momenti in cui ci si può dedicare ad esempio agli altri figli. Per le pulizie di casa dobbiamo abbassare le nostre aspettative accettando il livello di pulizia che riusciamo a raggiungere o accettando aiuti esterni.

2 – Sono stanca e mi riposo

Quando si soffre di depressione post parto sentirsi esauste è un classico sintomo, pertanto mettete da parte il resto e dormite, quando il bambino dorme o se il partner, una amica o un parente vi tengono il bambino mentre voi riposate.

3 – Riduco le aspettative verso me stessa

A volte il massimo della stanchezza si raggiunge mesi dopo il parto quando si pensa di aver superato il peggio, pensando di riuscire a fare tutte le cose come prima della gravidanza, caricandosi di incombenze e impegni. Proprio per questo sovraccarico molte mamme sviluppano una depressione post parto dopo alcuni mesi dalla nascita del bambino. E’ importante quindi aumentare gradualmente i propri impegni e attività e solo se ci si sente capaci e forti nel sostenere il ritmo acquisito.

4 – Rallento, faccio le cose con calma, accettando i piccoli obiettivi: ovvero mi impegno in compiti che riempiano il mio tempo, che mi impediscano di farmi sentire il senso del vuoto e senza fretta. Un bambino piccolo interrompe continuamente le attività della neomamma che vanno prese accontentandosi del piccolo risultato (è già tanto aver svuotato la lavastoviglie), diversamente dalla fretta e schema del finire (es. pulire tutta la casa in 2 ore) che avevate prima di diventare mamma. I piccoli obiettivi vanno accettati come grandi conquiste, senza sentirci in colpa, come concederci di non fare nulla anche per pochi minuti.

5 – Faccio quello che mi fa stare bene e non quello che devo: evito le persone o cose che mi

producono emozioni negative

Quando si soffre di depressione post parto obbligarci a fare cose che non ci piacciono peggiora la situazione. Possiamo quindi concederci di evitare persone o situazioni che non ci fanno sentire in armonia con noi stesse.

6 – Mi alleno a fare la mamma

La depressione può far vivere la maternità con ambivalenza: prima di aver un figlio non ci aspettavano che le cose sarebbero andate in questo modo e ora proviamo emozioni contrastanti.

Possiamo aiutarci a riflettere su quali sono i sentimenti e i pensieri in merito alla nostra maternità prendendoci qualche minuto per scrivere: durante la gravidanza io e il mio compagno eravamo felici per l’arrivo di questo bambino? Sono accaduti eventi stressanti in questi ultimi anni (lutti, in ambito lavorativo…) ? Che rapporti avevamo con i nostri genitori? Quali aree di vita sono cambiate e come dall’arrivo del bambino? Esprimere sinceramente i nostri sentimenti, ci aiuterà a identificare gli ambiti in cui siamo a disagio e poter così reagire. Capire come far convivere la maternità con gli altri contesti della nostra vita ci permetterà di reagire anziché annegare nella rabbia.

7- Mi prendo un po’ di tempo per me

Questo comporta ovviamente accettare la collaborazione di chi è intorno a noi, cosa difficile quando soffriamo di depressione e crediamo di non sapere come ripagare l’aiuto.

Dobbiamo pensare che per chi abbiamo intorno sarà un’opportunità stare col bambino, quindi dobbiamo cambiare la nostra idea dell’aiuto come coinvolgimento e partecipazione dell’altro (partner, parenti).

Devo ricordarmi che il tempo che dedico a me è una pausa, che mi consente di ritornare dal mio bambino un po’ più serena, faccio quindi del bene a lui attraverso il bene che faccio a me.

8Mangio con equilibrio

La depressione può ridurre l’appetito. Magiare in modo regolare con spuntini leggeri e prendersi il tempo per farlo è importante. Fate caso all’effetto che certi alimenti hanno sul vostro umore.

Se invece la depressione vi ha aumentato l’appetito, potete rivolgervi al vostro medico o ad uno specialista in nutrizione.

9 – Faccio dell’attività fisica

La depressione toglie la voglia di fare, ma l’esercizio fisico è di grande aiuto per l’umore. Di solito lo sforzo maggiore è quello dell’iniziare. Possiamo imporci di fare passeggiate col bambino, le scale di corsa o pochi esercizi mentre lui dorme.

10 – Parlo con qualcuno

Trovare qualcuno di cui ci si fida per parlare può portarci a ricercare in modo dipendente questa persona. Se parlare con essa ci fa stare meglio è necessario farlo, mettendo da parte i sensi di colpa e accettando che quando miglioreremo potremo ricambiarla o sostenere a nostra volta qualcun altro.

11 – Sto meglio

Guarire dalla depressione richiede tempo e accettazione della discontinuità del nostro umore anche nella stessa giornata: variando dalla gioia alla tristezza in poche ore. E’ necessario quindi non pretendere troppo da noi stesse ma accettare ogni piccolo passo in positivo.

Per stare meglio si può decidere di farsi sostenere da un famigliare, amico o al contrario fare affidamento su un aiuto esterno come uno psicoterapeuta.

Qualsiasi azione scegliamo di attuare è importante che il problemi alla base del nostro malessere siano affrontati, non solo in modo superficiale, per poter così vivere con serenità e gioia anche la nostra maternità!

Non sottovalutiamo, non nascondiamo, non vergogniamoci della nostra vulnerabilità, che è un modo con cui il nostro corpo ci chiede aiuto e manifesta il bisogno e desiderio di stare bene!

E i neopapà? Anche loro soffrono di depressione post parto, ma di questo si parla nell’articolo, a loro dedicato, intanto prendiamoci cura di chi amiamo imparando prima a prenderci cura di noi stesse, ascoltandoci!

Giovanna Loconte

Psicologa- Psicoterapeuta

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terapia genitori separati

Mamma e papà si separano: e adesso cosa succederà?

MAMMA E PAPÀ SI SEPARANO: E ADESSO COSA SUCCEDERÀ?

Quando due persone decidono di separarsi possono farlo per molteplici ragioni, quella principale che li spinge ha sempre a che fare con il fatto che un rapporto è ormai percepito come irrecuperabile.

Quando a separarsi sono due genitori, l’aver generato uno o più figli, comporta il mantenere la responsabilità di tale ruolo, continuando ad occuparsi appunto di essi.

Tale responsabilità condivisa che prosegue nonostante la separazione non è però sempre così facile da gestire nella realtà.

Separarsi genera forti turbamenti emotivi sugli stessi adulti che avevano puntato molto sul rapporto attualmente finito. Nonostante questi vissuti gli adulti dovranno continuare ad occuparsi della quotidianità e soprattutto dei loro figli! Così per il grande carico emotivo potranno essere meno attenti ai figli, dal momento che dovranno anche gestire i propri sentimenti di rabbia, dolore e delusione. Ciò per dire che pure i genitori più premurosi e capaci possono non accorgersi dei problemi dei figli in tale situazione o sottovalutarli.

Questo articolo vuole dare attenzione a ciò che può passare nelle menti e nei cuori dei figli, per avere spunti su cui riflettere se si è genitori che stanno affrontando una separazione.

I pensieri dei figli

“Se mi comporto bene, mamma e papà toneranno insieme?”

“Papà se ne va, non lo rivedrò mai più?”

“Soffro quando litigano”

“La mamma piange sempre e si sfoga con me”

“Non vorrei che le cose cambiassero”

I segnali

In base al proprio carattere, personalità e storia ogni bambino reagirà in modi diversi a tale evento. Il suo livello di maturità raggiunto potrà influire sull’elaborazione della separazione.

Prima infanzia (0-2 anni): Anche se in questa fase della loro vita i bambini saranno prima incapaci e poi successivamente poco capaci di comunicare ciò che provano o di capire ciò che vivono, non saranno certo indifferenti al malessere di chi si occupa di loro (rabbia, depressione) o a rumori e suoni che esprimono rabbia e tensione o a silenzi pesanti. Potranno esprimere la loro sensazione che qualcosa non funziona con difficoltà nel sonno, cambiamenti nelle abitudini di evacuazione o alimentazione, morbosità nella relazione con un genitore.

Seconda infanzia (2-5 anni): Come per la prima infanzia, anche a questa età i bambini possono aver difficoltà nell’esprimere i loro vissuti, ma la capacità di comprendere ciò che avviene intorno a loro e le parole che sentono, aumenta. Inoltre, questa è anche la fase in cui si mettono al centro del mondo, prendendosi pure le colpe di cose che non dipendono da loro. Il malessere può manifestarsi con comportamenti infantili e regressioni (pipì a letto), difficoltà nel sonno, ad allontanarsi da un genitore, rifiuto della scuola materna o con l’espressione di forti emozioni come la rabbia.

Terza infanzia (5-10 anni):

In questa fase i bambini riescono a esprimere a parole ciò che pensano e colgono le sfumature nelle relazioni. Possono rendersi conto che altri amici e conoscenti hanno i genitori separati e reagire positivamente alla separazione se per loro mette fine a sofferenze e aggressività vissute.

Preadolescenza e adolescenza (10-16 anni):

Questa è un’età in cui i figli riescono a capire la complessità di una relazione e valutano anche le implicazioni economico, sociali ed emotive che la separazione comporta. Possono avere le idee chiare su di chi sia la colpa, anche se nessun genitore lo ha mai dichiarato.

Possono rivolgersi agli amici con cui condividere i loro vissuti piuttosto che con i genitori, che a questa età spesso vengono esclusi o non parlarne a nessuno.

Consapevoli della propria sessualità, possono avere un’opinione in merito ai nuovi compagni dei genitori.

Età adulta non è l’argomento di questo articolo, ma pure a questa età la separazione dei genitori crea turbamenti e reazioni.

Cosa fare

Affinché il cambiamento sia meno traumatico possibile si deve cercare di riportare l’attenzione ai segnali e ai bisogni del figlio, attuando degli accorgimenti come:

  • trovare il tempo e l’energia per esplorare ciò che il figlio prova e pensa;
  • legittimare le sue emozioni, riconoscendo che esistono e che sono dolorose o difficili da gestire (come per l’adulto);
  • rassicurare il figlio di non aver fatto o detto nulla che possa aver portato alla separazione, ma questa è avvenuta perché mamma e papà non si amano più;
  • rassicurare il figlio che essere genitori è per sempre (nonostante non sia sempre facile andare d’accordo con l’ex);
  • proteggere i figli dalle discussioni con l’ex: essere genitori per sempre significa mettere da parte i sentimenti verso l’ex (almeno con i figli e sfogandosi con altri), non avere con lui o lei un buon rapporto va a discapito di nostro figlio.
  • spiegare ai figli le proprie reazioni emotive (autorizzando così il figlio a esprimere e superare a sua volta le proprie). Se il genitore perde il controllo per brevi periodi non crea grandi danni al figlio, ma se questo avviene per periodi prolungati può danneggiarlo.
  • Sostenerli e proteggerli affinché non si sentano soli e impreparati nell’affrontare i cambiamenti che la separazione comporta.

La separazione è un processo, pertanto richiede tempo, per i bambini e per gli adulti, per adattarsi e ritrovare un nuovo benessere.

LA COPPIA SCOPPIA: il sonno agitato può essere uno dei segnali di malessere del bambino …

La coppia nel corso della sua esistenza si trova ad affrontare diversi eventi critici. Si definiscono con questa espressione le diverse prove che mettono in discussione gli equilibri raggiunti fino a quel momento dalla coppia, sul piano delle relazioni e dei vissuti emotivi.

L’arrivo e la gestione di un figlio rientrano in uno di questi eventi critici (così detti prevedibili), che attraverso grandi cambiamenti verificano la tenuta della coppia: rafforzandola o facendo emergere un conflitto latente o che viene eclissato, se i bisogni e le richieste inascoltate vengono spostate altrove.

Quando le cose vanno bene, la coppia cresce, quando le cose non vanno come dovrebbero, la coppia esplode o si allontana.

Crescere un figlio richiede che vengano messi in atto comportamenti volti all’accudimento e protezione, ma anche azioni che spingano all’autonomia (in ogni fase della vita di nostro figlio, coerentemente all’età e tappe di sviluppo, ne seminiamo continuamente), per consentire al nostro bambino un armonico sviluppo della sua personalità.

Quando una coppia è distante o è “scoppiata”, al figlio si fanno richieste proprie e improprie, in modo più o meno consapevole: di vicinanza, affetto, comprensione, attenzione, conferma del proprio valore, ecc… Una parte di richieste è naturale rivolgerla al figlio, ogni tipo di relazione dà risposta a dei bisogni (è la sua naturale funzione!), ma se tutto quello che il nostro compagno o compagna non ci dà lo richiediamo a nostro figlio, questo diventa improprio.

Quando il conflitto tra i partner resta latente, (ovvero nascosto), o si esterna, le richieste di sopperire alle mancanze si possono riversare sul figlio.

Nella notte, momento metaforico e di reale separazione, nel corso della quale si rielaborano i vissuti e le esperienze del quotidiano, il bambino può esprimere e lasciare andare il peso di queste richieste, quando sono eccessive.

I troppi pensieri spesso non lasciano fare dei tranquilli riposi agli adulti, perché non dovrebbero agitare i sonni dei bambini che li manifestano in modo più corporeo e meno consapevole?

Se la gestione del sonno del nostro bambino si fa complicata e tante strategie messe in atto non funzionano, è importante interrogarsi sulle priorità e sui nostri reali bisogni.

Dobbiamo domandarci se stiamo rivolgendo esclusivamente o prevalentemente a nostro figlio conferme di noi come persona (bisogno di sentire che ho un valore, di riconoscimento…) come compagna o compagno (bisogno di essere amati, di sicurezza, di sostegno, di accettazione incondizionata …) e non solo giustamente come madre (bisogno di sentirmi importante nel prendermi cura di qualcun altro, di tenerezza…).

Se ci rendiamo conto che questi bisogni il nostro partner non li appaga più, è possibile che stiamo sovraccaricando il rapporto con nostro figlio e anche attraverso il suo sonno agitato lui possa mostrarcelo.

Probabilmente è il caso di affrontare i nostri carichi emotivi per alleggerire il nostro bambino e il suo sonno, così riusciremo ad accompagnarlo in un percorso di crescita che risponda ai suoi reali bisogni, rendendolo sicuro e felice.

 

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